Autore: Barbara Chiri

Musica: rassegna di piccole musiche del vasto mondo

No Comments

VIOLETA PARRA: LA DONNA CHE SAPEVA TROPPO E TROPPO POCO DELLA VITA

La cantautrice cilena Violeta Parra nacque il 4 ottobre 1917 a San Carlos del Cile, nei pressi di quella Chillán dove, piccolissima, si trasferì. Intensa, versatile, generosa e intransigente, Violeta
viene troppo spesso ricordata più per la sua morte (suicida nel 1967, si disse per amore) che per la sua vita straordinaria.

Attraverso le sue canzoni e le sue ricerche di canti tradizionali nelle zone più impervie del Cile, Violeta seppe diventare la voce della parte fino ad allora inascoltata del suo popolo.

A 100 anni dalla nascita e 50 dalla morte di Violeta Parra, i Cantiga Caracol ricordano la sua personalità vivace e complessa, proponendo un originale riarrangiamento di alcuni brani suoi e
della tradizione popolare cilena in uno spettacolo che non si limita a riproporre la musica dell’artista ma che intende, piuttosto, rievocare l’intensità avvolgente di un’esperienza unica: un vissuto individuale che diventa racconto collettivo, protesta civile e testimonianza viva di “una verità semplice e allegra”, cosciente ma non succube della tristezza del mondo.

Ai brani suonati, dunque, si intrecciano letture recitate di lettere e poesie di o per Violeta, mentre sullo sfondo scorrono immagini delle sue bellissime arpilleras.

CANTIGA CARACOL
Silvia Cavalieri: voce
Vladimiro Cantaluppi: violino
Agostino Ciraci: contrabbasso
Gianluca Fortini: clarinetti
Giovanni Tufano: chitarre, percussioni
Bianca Ferricelli: voce narrante
Giuseppe Ferricelli: voce narrante

Categories: Eventi

IL 22 GENNAIO ALLE 17 CONCERTO DEI NAIRGARTEN

No Comments

Un viaggio attraverso la musica di popoli lontani, di culture ormai
passate, di voci e suoni che sembrano scomparsi, mentre invece la
loro vita è ancora lì, dentro quelle note e quegli strumenti. Basta
togliere un po’ di polvere e pizzicare le corde di un contrabbasso,
soffiare dentro un clarinetto, spingere il mantice di una fisarmonica
per ritrovare tutta la vita di quella musica, e con lei la vita e il respiro
di quei popoli.

L’ambizioso progetto dei Naigartèn è quello di ridare vita e anima
proprio a queste musiche, anche con composizioni proprie, e farne
sentire di nuovo l’odore e il sapore, insieme ai ritmi e ai suoni ritrovati
e riproposti.

Così il repertorio tradizionale della musica Klezmer, la musica degli
ebrei dell’Est Europa, come quella degli zingari Manouche e Rom e
quella dei vicini Balcani, sono l’anima di un concerto esaltante e
profondo, vivo e pulsante, frenetico e meditativo, un concerto
insomma che lascerà tracce dentro ogni ascoltatore.

Naigartèn è un gruppo nato nel marzo 2016, dove le esperienze dei
musicisti coinvolti, maturate in storici gruppi di musica klezmer e
balcanica precedenti, come la TheaterOrchestra di Moni Ovadia, i Dire
Gelt e i TriMuzike, confluiscono in un percorso di ricerca che viene
ripreso per spaziare verso altri ambiti musicali e culturali, nella
convinzione che la musica possa andare oltre limiti e confini di popoli
e nazioni, di culture e tradizioni, di diversità e intolleranze.
Con questo spirito nascono i Naigartèn, band (anzi, banda, visto che
di banda “italiana” si tratta) il cui nome può significare tutto e niente,
ma con certezza indica il nome di un vitigno e di un vino rosso, quasi
scomparsi, del bolognese, zona di residenza o frequenza instabile
del
gruppo. Un vino che (come tutti i vini) deve essere “portatore sano” di
cultura e tradizione, eletto, dal gruppo, a proprio simbolo ispiratore.

Naigartèn
Agostino Ciraci contrabbasso
Gianluca Fortini clarinetti
Gianluigi Paganelli basso tuba
Filippo Plancher voce
Salvatore Sansone fisarmonica
Giovanni Tufano chitarra, percussioni
Emilio Vallorani flauto, ottavino

Categories: Eventi

Relazione e Intervento al Convegno Erickson

No Comments

LA PSICOMOTRICITA’ COME PRASSI DI INCLUSIONE

Dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria

A ccoglienza
G ioco
I ntegrazione
O sservazione

 

Prima di entrare nel “vivo” dell’esperienza “vissuta”, vorrei partire dalle parole-chiave del progetto A.G.I.O.: rete, complessità, diversità, responsabilità, centralità della relazione e senso condiviso.
Come si declinano queste parole-chiave nella proposta educativo- preventiva della Psicomotricità?
Costruire e stare in una rete significa creare connessioni fra la propria specificità e il contesto in cui si opera; la complessità è saper trasformare le criticità in opportunità e imparare a vivere l’alterità come risorsa; la diversità è insita in ogni persona con cui si entra in relazione e che, dal mio punto di vista, va considerata nella sua globalità e originalità; la responsabilità è accompagnare i bambini nel loro processo di crescita e nel promuovere, con strategie educative, il loro benessere relazionale; la centralità della relazione è il motore del processo educativo; il senso condiviso deriva da una progettazione comune del percorso e dalla possibilità di “contaminarsi” reciprocamente.

Progettare insieme e contaminarsi è come guardare tutti la medesima fotografia e sapere che ciò che è impresso nell’immagine parte da ciò che lo sguardo di ciascuno ha colto o coglie. L’obiettivo diventa quindi quello di trovare un modo per rivolgere lo sguardo tutti nella stessa direzione senza perdere il proprio sguardo.

E’ condividere una lettura dei bisogni e definire gli obiettivi educativi, mantenendo ciascuno la propria specificità.
Il bisogno fondamentale di ciascuno è la possibilità di sperimentare, vivere, creare relazioni. Relazioni con lo spazio, il tempo, gli oggetti e l’altro/ gli altri. Ma perché i bambini possano sviluppare relazioni, c’è bisogno di un ambiente/ contesto  accogliente, in ascolto, che struttura e, contemporaneamente lascia la libertà di espressione, che sostiene e che dà confini.

Con questa premessa, gli obiettivi educativi della proposta psicomotoria diventano:

  • Elaborare un modo di agire educativo che rispetti la globalità e i tempi di crescita di ciascun bambino (integrazione) all’interno della dinamica di gruppo
  • Sostenere lo sviluppo delle capacità espressive e comunicative
  • Sostenere lo sviluppo dell’identità di ogni bambino (risorse, limiti; maschile e femminile; dipendenza, autonomia) .
  • Creare un clima motivazionale e di benessere tale da consentire al bambino stesso di sentirsi ascoltato, contenuto, compreso, valorizzato, accettato, ma anche sollecitato a rispettare le regole comprese e condivise.

Gli obiettivi specifici, relativi al triennio dell’esperienza,  originano da una lettura condivisa dei bisogni dei bambini e degli adulti:

  • 1° anno: consolidare l’appartenenza e i legami dei bambini, dopo l’inserimento alla scuola dell’infanzia
  • 2° anno: sostenere il passaggio dall’egocentrismo al decentramento
  • 3° anno: aiutare i bambini a vivere il gruppo come risorsa, come depositario di una storia fatta di emozioni, desideri e azioni come singoli in connessione con gli altri e con l’adulto, all’interno del gioco e delle relazioni,  in un alternarsi fra dipendenza  e affermazione.

Questi obiettivi, nella loro diversità, tracciano una linea evolutiva del percorso del gruppo, ma quali sono i dispositivi psicomotori che hanno contribuito a questa evoluzione?Dal mio punto di vista, sono  principalmente tre:

  • Fuori dalla “saletta” della psicomotricità: l’alleanza tra gli adulti (scuola, famiglia, pedagogista)
  • Tra la “saletta” della psicomotricità e il contesto scuola: la continuità della programmazione scolastica delle insegnanti nel percorso psicomotorio
  • Dentro la “saletta” della psicomotricità: l’essere presenza e l’attitudine dello psicomotricista e la definizione della cornice spazio- tempo dell’incontro.

Lo psicomotricista pone al centro del suo “essere” e del “suo fare” il corpo come esserci nel mondo, il movimento come espressione di sé, come esigenza, come comunicazione e il gioco come modalità di interazione tipica dell’infanzia per esplorare, conoscere, interiorizzare il mondo, per allenarsi alla vita sociale e come campo espressivo del mondo interno.

Lo psicomotricista accoglie, tonicamente e empaticamente, l’emozionalità e il vissuto dei bambini (come singoli e come gruppo)modulando i propri interventi, modificando gli spazi e gli oggetti per favorire la comunicazione tra i bambini e lo sviluppo e l’evoluzione del gioco sensomotorio  e  simbolico, facendo risorsa dei propri limiti e di quelli dei bambini stessi.

Usando una metafora, è imparare ad essere come l’acqua.

“… L’acqua scorre per raggiungere un livello equilibrato.
Non ha forma propria, ma prende quella del recipiente che la contiene.
È permanente ed eterna come lo spazio e il tempo.
Invisibile allo stato di vapore, ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra.
Solidificata in un ghiacciaio, ha la durezza della roccia.
Rende innumerevoli servigi e la sua utilità non ha limiti.
Eccola, turbinante nelle cascate del Niagara,
calma nella superficie di un lago,
minacciosa in un torrente….
o dissetante in una fresca sorgente scoperta in un giorno d’estate”.    Gunji Koizumi

La definizione della cornice spazio- tempo dell’incontro parte dal bisogno dei bambini di costruirsi una mappa “del territorio” per orientarsi, per muoversi, per lasciare tracce di sé e attraverso una ritualità ricorrente trovare la sicurezza  per  trovare la strada verso l’autonomia.

Adesso, entriamo nella “saletta di psicomotricità”.
Lo scenario: la cornice spazio- tempo dell’incontro.
L’opera messa in scena: il gioco.
Gli attori principali: i singoli bambini e il gruppo.
Il regista: lo psicomotricista.
Lo spazio, luogo dell’incontro tra adulto e bambini, è il contesto della relazione e del gioco e perché possa essere un “contenitore” dove lasciare tracce di sé deve essere dotato di confini precisi, accogliente e sicuro.

Il tempo del percorso (9 incontri) e il tempo della seduta (il cerchio iniziale: il cartellone del tempo e del gruppo, le regole, i racconti dei bambini e il gioco delle scatoline; il gioco; il riordino; il  cerchio finale: lo spazio della parola; il gioco piccolo).

Il tempo del cerchio iniziale è il modo per accogliere e accompagnare i bambini verso una dimensione di gruppo, di definire lo spazio di ciascuno in relazione con gli altri, definire le regole (patto adulto bambini per regolare il gioco) e i tempi e la possibilità di raccontare qualcosa di sé.
Il cartellone “delle palline del tempo” e del gruppo è lo strumento visivo e operativo che ci colloca nel “qui e ora”, ma che ci permette di rintracciare il già vissuto e ciò che ancora dovrà avvenire.

Il “gioco delle scatoline” rappresenta il rituale strutturato che dà il via al gioco spontaneo dei bambini; è l’esserci di ciascuno attraverso la scelta del proprio gesto, movimento, azione e l’esserci in una dimensione di gruppo attraverso l’imitazione reciproca.

Il tempo del gioco è la co-costruzione di una storia relazionale. E’ lo scenario di emozioni, bisogni, desideri, pensieri, vissuti; è espressione di sé in relazione allo spazio, agli oggetti e all’altro/ agli altri; è ricerca del proprio spazio individuale (affermazione); è espressione del proprio essere sociale (condivisione, cooperazione, conflitto, socializzazione).

“Portare l’attenzione sul gioco spontaneo del bambino, valorizzarlo, parteciparvi, aiutarlo a farlo evolvere, è andare verso un’educazione aperta alla vita, alla creatività, all’autonomia, allo sviluppo di tutto il potenziale della persona” (Lapierre, Aucouturier)
Il riordino è l’azione che segnala ai bambini la fine dei giochi; è la presa di distanza da ciò che si è narrato con il corpo, con l’azione, con le emozioni e il gioco. Proporre il riordino ai bambini parte dalla mia convinzione che creare un ordine esterno aiuta a far posto a un ordine interno e, contemporaneamente, aiuta i bambini ad autoregolarsi …  se nel momento del riordino si continua a giocare, si sceglie di fare il proprio gioco piccolo e si perde quello del gruppo.

Il tempo del cerchio finale è lo spazio della parola (qual è stato il gioco che ti è piaciuto di più? C’è stato qualcosa che non ti è piaciuto?) e ha la funzione di organizzare su un altro registro l’esperienza, di costruire significati condivisi, di dare forma con le parole al vissuto del corpo nel gioco in relazione agli altri e di imparare a rispettare il proprio turno e ad ascoltare. “ Il momento della verbalizzazione …  vede progressivamente il delinearsi, attraverso la somma dei racconti individuali i diversi ruoli agiti all’interno del gioco, le dinamiche interpersonali, i processi di identificazione e differenziazione, i conflitti di potere, la nascita di una leadership riconosciuta, la creazione di legami …; in definitiva, una strutturazione progressiva del gruppo, all’interno di una narrazione condivisa …” (L. Formenti)

Il gioco piccolo (Il gioco del marinaio, Il gioco della streghina Guendalina e Il gioco dei dinosauri) è il rituale per salutarsi e darsi appuntamento all’incontro successivo.

Le immagini del gioco che ho inserito nel ppt non rappresentano i percorsi, ma le attitudini e modalità relazionali che favoriscono, dal mio punto di vista,  il processo di inclusione (accesso all’altro e condivisione a partire dalle proprie differenze) di tutti i bambini: dall’espressione di sé all’azione condivisa, dall’azione condivisa all’incontro/ scontro con l’adulto e dal gioco con l’adulto al gioco socializzato tra bambini. Questi passaggi costituiscono la trama della storia relazionale del gruppo e i disegni che emergono sono le declinazioni individuali, tra similitudini e differenze, che però originano un tutto unitario.

Le ultime 3 slides hanno come obiettivo quello di esplicitare i contenuti dei percorsi e la lettura del vissuto dei bambini negli incontri di psicomotricità perché rappresentano ciò che va a creare un senso condiviso dell’esperienza nel confronto fra gli adulti.

L’obiettivo specifico del 1° anno era quello di consolidare l’appartenenza e i legami dei bambini, dopo l’inserimento alla scuola dell’infanzia.

Le parole- chiave del percorso:

  • La funzione dell’oggetto come mediatore per il movimento, per la costruzione di relazioni, per l’investimento creativo nel suo utilizzo, per la costruzioni di giochi condivisi dal sensomotorio al simbolico
  • La centralità del gioco sensomotorio: dal gioco individuale all’imitazione reciproca
  • Il passaggio al gioco simbolico: scoperta del piacere di fare con gli oggetti e con gli altri, tra similitudini e differenze.

L’obiettivo specifico del 2° anno: sostenere il passaggio dall’egocentrismo al decentramento.
Le parole- chiave del percorso:

  • il bisogno dei bambini di avere confini, di trovare un adulto che contiene sia affettivamente, sia attraverso i limiti.

E’, soprattutto, nei momenti della parola che il gruppo “salta”: i bambini fanno fatica ad ascoltare e ad ascoltarsi, ad aspettare e sfidano e provocano l’adulto (un modo per essere visti come singoli).

Nel gioco, dove in bambini si sentono competenti, la situazione è meno difficoltosa perché da un lato sperimentarsi attivamente nello spazio, con gli oggetti, nel movimento garantisce una canalizzazione positiva dell’energia dei singoli e dall’altro la centralità della relazione con l’adulto permette loro di contrattare il potere e di allearsi tra di loro per essere più forti.

  • Ambivalenza fra dipendenza e affermazione.

Come uscirne? Come trasformare la criticità in opportunità?
Spostando il centro della relazione con l’adulto dalla sfida alla responsabilizzazione.

L’obiettivo specifico del 3° anno: aiutare i bambini a vivere il gruppo come risorsa, come depositario di una storia fatta di emozioni, desideri e azioni come singoli in connessione con gli altri e con l’adulto, all’interno del gioco e delle relazioni, in un alternarsi fra dipendenza  e affermazione.
Le parole- chiave del percorso:
La definizione di sé nel gruppo: raccontarsi per essere riconosciuti come singoli nel gruppo
I legami: io e gli altri
La presa di distanza dall’adulto
Il gruppo come risorsa per crescere

Voglio concludere questo mio intervento con una poesia di Roberto Piumini:

La bimboteca.

Ogni classe
è una bimboteca.
Se vuoi ridere
leggi un bimbo allegro.
Se vuoi piangere
leggi un bimbo triste.
Se vuoi sapere
leggi un bimbo saggio.
Se vuoi indagare
leggi un bimbo segreto.
Se vuoi sognare
leggi un bimbo poeta.
Se vuoi cantare
leggi un bimbo di musica.
E se invece
ti vuoi annoiare
non leggere i bimbi.
Lasciali chiusi e muti
seduti
in bimboteca.

Barbara Chiri

Categories: In Evidenza